Mema Mediterranean Music Association

Del suonare a memoria

Agli addetti ai lavori e ai musicofili curiosi...

Scritto da Carlo Palese

Ciclicamente si leggono opinioni circa il suonare a memoria o con l’ausilio della partitura durante i recital o concerti con orchestra, per i quali la tradizione “richiede” l’esecuzione a memoria. 

La mia personale posizione al riguardo è che debba trattarsi di una scelta personale, ma ciò che mi suscita una riflessione è la ricorrenza dei soliti argomenti “pro e contro” ogni volta che se ne parla. Il piano, per così dire, “storico-tradizionale”: “da Liszt in poi si è sempre suonato a memoria, il pubblico si aspetta questo, il solista deve prendersi il rischio” ecc. In risposta si può affermare che “le tradizioni si cambiano, che prima di Liszt non era così, che prima si improvvisava e ora non più”. Si conclude che l’importante è suonare bene, ma ognuno resta della propria convinzione. Messa così la faccenda mi interessa poco.
Mi interessano molto invece, come pianista e come insegnante, le questioni legate alla sostanza: suonare a memoria rende più liberi e ispirati? solo suonando a memoria si può dire di conoscere il brano profondamente? eliminare lo stress della memoria ricorrendo allo spartito rende l’esecuzione più “distratta”?
La questione-memoria ci parla in realtà di due processi: l’apprendimento e la “restituzione”, e secondo me è nel rapporto tra queste due fasi che si gioca la parte più interessante dell’argomento.
Quando un bimbo impara ripete i passaggi e apprende per lo più per memoria muscolare, ma non solo: per fissare nella memoria un pezzo cercherà anche punti di riferimento valendosi dei primi semplici strumenti di analisi di cui dispone. Fissa la posizione iniziale dei vari passi, gli spostamenti ecc. (un basso che si muove da do a fa sono “4 tasti verso destra”, più o meno una decina di centimetri…!). Il momento della sintesi, cioè dell’esecuzione, lo vedrà di fatto ripercorrere in modo quasi coincidente gli stessi elementi che hanno segnato la fase dell’apprendimento. E va a suonare, più o meno sereno.
Diventando più grande imparerà cose che gli renderanno necessario, indispensabile, sapere sempre di più circa quello che sta imparando; armonia, direzioni, elementi di articolazione, aspetto visuale della partitura e quant’altro è presente nella musica. Dopo vari decenni di esperienza il bagaglio di informazioni che il pianista avrà sarà enormemente più ricco rispetto ai tempi degli esordi: una mole di informazioni imponente che lui vorrà-dovrà dominare. Capire tutto -o quasi- di quello che sta leggendo rende l’apprendimento un processo molto meno istintivo rispetto al passato. 
E la restituzione-esecuzione? Essendo per definizione un momento di sintesi non potrà rappresentare quella massa di contenuti immessa nell’apprendimento; si dovrà semplificare, sfoltire una parte di quanto appreso per poter eseguire senza il rischio della paralisi, ma ciò porta con sé la latente paura di aver in parte disimparato quanto studiato nei dettagli. Qui sta il punto: il professionista, dopo aver immagazzinato moltissime informazioni dovrà esercitare una sorta di “arte della dimenticanza” per conquistare la naturalezza esecutiva. La forbice tra apprendimento ed esecuzione si allarga molto e compare dunque lo stress relativo alla gestione di questo processo; gli effetti, che tutti conosciamo, si chiamano ansia, paura del palcoscenico ecc.
Entra però in gioco l’esperienza, che ci aiuta a governare la transizione tra le due fasi ma ci rivela un segreto…..di Pulcinella: nel preparare il concerto a memoria noi memorizziamo in realtà l'esecuzione, non propriamente la partitura o la Musica. Solidificare questo processo ci aiuta a conquistare, sperabilmente e al netto della paura di incidenti, quella sensazione di libertà e sicurezza che l’esecuzione a memoria sembra poter regalare. Ho però la sensazione che nel momento in cui iniziamo ad “imparare” la nostra performance “smettiamo di studiare”, nel senso che cristallizziamo la nostra indagine sulla musica per evitare che essa provochi la dispersione di quella concentrazione rivolta a semplificare la pratica dell’atto esecutivo.
Siamo dunque così certi che saper eseguire un brano a memoria significhi automaticamente il conoscerlo profondamente, più compiutamente di chi tiene la partitura sul leggio? Forse no e, d’altra parte, il suonare con la parte non può e non deve significare uno “studiare continuo” che prolunga la fase di approfondimento persino durante la performance….credo, in proposito, che le distrazioni che si possono presentare anche con la musica davanti derivino proprio dalla tentazione di voler vedere o seguire tutto. Anche qui dunque, come nel suonare a memoria, si deve operare una scelta deli contenuti che saranno oggetto di controllo attivo. Bisogna studiare molto per suonare a memoria ma altrettanto per poterlo fare leggendo la partitura.
Queste considerazioni non mirano a fornire soluzioni quanto a portare un piccolo contributo all’indagine sui meccanismi dell’apprendimento; riflettere su questi aspetti rappresenta di per sé un atteggiamento sano ed utile alla crescita di un musicista.
Nell’augurare a tutti di suonare più sereni possibile, concluderò con una battuta: ho un libro magnifico che insegna eccezionalmente bene come avere una memoria infallibile, sempre. Non ricordo dove l’ho messo, però…

https://www.carlopalese.com/

 

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