Frammenti anticonvenzionali su Glenn Gould
Una fantastica incursione dentro l'eccentrica personalità del grande pianista canadese.
Un atto unico musicale di Marco Ballestracci
Marco Ballestracci, voce narrante
Stefano Lenci, pianoforte
Il 31 gennaio 1960 Leonard Bernstein fu l’anfitrione di “The Creative Performer”, un programma per la televisione americana sponsorizzato dalla Ford. Il celebre direttore d’orchestra condusse la New York Philarmonic che quella sera accompagnò prima Glenn Gould, poi Eileen Farrell e, al termine, Igor Stravinsky. Bernstein introdusse Gould dicendo: “Gould e Bach sono diventati una sorta di leggendaria combinazione, nonostante la giovinezza di Gould e l’antichità di Bach”. Poi continuò spiegando come “in un’epoca in cui i compositori erano parchi di indicazioni su come suonare le composizioni” fossero necessari “capacità di giudizio, istinto e una forte personalità” per evitare che il semplice riproporre le note riportate sullo spartito si rivelasse “indicibilmente noioso” all’ascolto. Poi Bernstein si sedette al piano con postura perfetta ed eseguì due passaggi del Concerto numero 1 in Re Minore di Johann Sebastian Bach per permettere al pubblico televisivo d’intuire il concetto di “interpretazione”. Seduto con la schiena diritta di fronte allo strumento era elegantissimo e lo smoking pareva una seconda pelle. Poi la telecamera si spostò su Glenn Gould, come sempre accovacciato sull’inseparabile sedia nana. A causa della brevità del sedile risultava pressoché appollaiato sopra la tastiera e ondeggiava portato dalla musica. Poi, osservando bene, si poteva notare che, di tanto in tanto, accavallava persino le gambe, tutte posture che non giovavano per nulla allo smoking e soprattutto al fifì che, piegandosi da un lato, pareva biasimare l’assenza d’eleganza del pianista.
Tutto ciò perché Glenn Gould era anticonvenzionale.
Fu anticonvenzionale anche quando dovette scegliere che cosa eseguire per la Columbia Records dopo che firmò il suo primo contratto d’incisione. Quando disse: “Credo di voler incidere le Variazioni Goldberg”, tutti rimasero a bocca aperta. Era una composizione di Bach estremamente impegnativa e, fino a quel momento - era l’inizio del 1955 – esclusivissima: solo Claudio Arrau e Rosalyn Tureck le avevano incise al pianoforte. Il direttore della sezione classica della Columbia Records gli consigliò una partitura meno ardua: qualche parte de “Le Invenzioni”, per esempio. Ma Gould non si lasciò influenzare e il 10 giugno 1955 entrò nello studio newyorkese della Columbia per iniziare la sessione di registrazione per le Variazioni Goldberg. Le incise canticchiando come era abituato a fare, esasperando i tecnici del suono che non riuscivano a impedirglielo e che furono costretti a inventare espedienti tali da ridurre almeno un poco il rumore di fondo che l’interprete stesso aveva prodotto. Quando il disco uscì, nel gennaio del 1956, venne accolto trionfalmente: la freschezza dell’esecuzione lo rese uno dei 33 giri più venduti dell’anno e le Variazioni Goldberg divennero, da un giorno all’altro, una delle composizioni più famose di tutta la musica classica. Al contempo Gould divenne il simbolo d’una generazione. Evan Eisemberg nel suo “Angelo con il Fonografo” - secondo l’Observer uno dei più grandi libri pubblicati sulla musica – scrisse: “Nei confronti di Gould la mia generazione ha qualche risentimento, perché è colpevole d’aver abbandonato il palcoscenico prima che ci fosse data l’opportunità d’ascoltarlo dal vivo. A dire il vero, all’epoca eravamo troppo occupati ad ascoltare i suoi dischi per accorgercene. Le sue incisioni ci mostravano che la musica classica non era tutto sentimento e decoro, abiti da sera e volontà di compiacere il proprio insegnante; poteva anche essere spigolosa e solitaria, eccitante come una scatola del piccolo chimico, una partita a scacchi o lo scroscio della pioggia sul parabrezza”.
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